La legge dei grandi numeri pare certune volte regolata dalle fatalità del Caso ovvero dalle ambiguità del Caos (per gli antichi Greci madre & padre di ogni Cosa, non dimentichiamolo). Ma che cosa mai spinse Eric Blair, in arte George Orwell, in punto di morte, a vergare 1984, uno dei più grandi successi letterari post mortem del secolo scorso? Forse la sua traboccante fantasia di mistico visionario, incalzato dall’ansia di comunicare alle generazioni future l’idealtipo (in senso prettamente weberiano) di costruire un mondo migliore nato dalle macerie della Seconda Guerra Mondiale? Può darsi. Occorre tuttavia ripercorrere in breve la vita dello scrittore inglese più inviso di sempre, direi odiosamato da più parti, dapprima uomo e soltanto in seguito artista, al fine di rispondere esaurientemente a tali quesiti. Orwell nacque da una agiata famiglia della upper class nel 1903 nelle Indie allora colonizzate dalla corona imperiale. A soli quattro anni egli ritornò con la madre, in compagnia delle due sorelle, in Inghilterra. Furono gli anni della infanzia e dell’adolescenza – dal verbo latino adolesco, letteralmente colui che va crescendo – e della prima formazione intellettuale all’interno del prestigioso Eton College fra le cui mura austere, tuttavia, mai riuscì pienamente ad integrarsi, complice l’ambiente da retaggio aristocratico e baronetto della blasonata istituzione inglese. Tale senso di straniamento, di alienamento, di solipsismo adolescenziale costituì la base della clamorosa decisione di ritornare nelle Indie, arruolandosi qual volontario nelle milizie britanniche financo per abbracciare quello Spirito di Corpo di rousseauiana eco. Eppure, il disgusto suscitato dall’arroganza delle uniformi imperiali lo costrinse a dimettersi poco dopo. In palese crisi identitaria, il nostro, dall’evidente piglio inquieto, ritornò in Europa stabilizzandosi nella vivace Parigi. Quivi, esplorando i sobborghi e le muffe malavitose, trasgressive, letteramente ” Senza un soldo in tasca ” – d’onde il titolo in romanzo del suo resoconto parigino – scoprì il suo immenso talento di novelliere, contestualmente svolgendo umili lavori fra cui il lavapiatti, il netturbino. Le prime narrazioni passarono del tutto indifferenti sia alla critica sia al pubblico, nonostante larvatamente emerse una ragguardevole originalità di stesura del corpo del testo. Nel 1936 scoppiò la Guerra Civile in Spagna ed Orwell decise di partire combattente volontario contro il regime autoritario del caudillo Francisco Franco, stendendo in contemporanea un agghiacciante affresco di guerrilla urbana fra le pagine di ” Homage to Catalunya “. Da cui, finalmente, la BBC colse il suo bravurismo di cronista e lo assunse quale reporter abilissimo a narrare in lungo, in largo per vari Paesi le miserie del Secondo Conflitto Mondiale. Nel 1950 trapassò a miglior vita esule in solitudine con in braccio il figliolo volontariamente al confino in un’isola sperduta del Mare del Nord.

” Nineteeneightyfour ” scritto non a caso nel 1948 – capovolgendo il paio di numeri assoluti discreti – negli anni confusi del secondo dopoguerra, traspare alla stregua d’una parabola quasi evangelica del timor reverentialis dell’uomo Orwell, nel corpo minato dalla tubercolosi e nello spirito dagli incubi vissuti nel ruolo di cronista di guerra, con una prosa estremamente fantasiosa al fine di partorire un capolavoristico romanzo distopico, inquietante, nel mentre vivacchiano gli spettri dei Grandi Dittatori ormai deceduti dalla nemesi storica della damnatio memoriae: i totalitarismi comunisti una cum gli autoritarismi nazifascisti e franchisti sepolti e convogliati, riesumati in una immaginifica descrizione della società in avvenire, Oceania. Suggeribile la lettura contestuale dell’altro capolavoro scritto dal nostro pressoché in contemporanea, cioè a dire la satirica, allegorica ” Animal Farm “. Ora che l’anno domini 1984 è già abbondantemente trascorso, ora che i baffetti grotteschi del Big Brother orwelliano si celano dietro altre maschere viventi nella contemporaneità, possiamo stare tranquillamente certi che le visioni di George Orwell siano soltanto mere, pure fantasie prive di tangibilità partorite dalla mente di un romanziere, seppur di genio.

1 thought on “” Nineteeneightyfour ” di George Orwell

  1. La distopia orwelliana era ricalcata sulla burocrazia sovietica staliniana, ma adesso la distopia si è spostata dalle parti del tecnocapitalismo libertariano, che intende distruggere ogni forma di amministrazione statale, tranne gli organi repressivi delle libertà, per sottoporre l’individuo non più cittadino al nuovo feodalismo imprenditoriale multinazionale. La favola nera di “Animal Farm” esplorava, sì genialmente, i meccanismi della dominazione/sottomissione psicologica che si trovano in ognuno di noi a secondo delle situazioni in cui siamo immersi. Desiderio di prevalere o di esser dominato e desiderio di libertà coesistono infelicemente in noi. Solo l’arte ci libera davvero da ogni giogo.

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